Di poveri ho spesso sentito parlare, visto tante foto, ascoltato racconti di chi in mezzo a loro ci vive, ma le foto non rendono, la povertà non puoi raccontarla… In Perù, a quasi 4000 metri sulle Ande, l’abbiamo vissuta a pieno.
A fine luglio in 18, accompagnati da don Paolo, ci siamo imbarcati sull’aereo; destinazione Cantu, un caserio di Llamellin. Qui siamo rimasti poco più di due settimane aiutando nella costruzione della chiesa del paese, facendo oratorio con i bambini e il giro di aiuto alle famiglie povere.
Dopo un anno passato a lavorare per raccogliere soldi da portare con noi in missione, l’idea di tirare su una chiesa mi ha entusiasmato molto: sporcarsi le mani, tornare a casa sporca dalla testa ai piedi, stanca morta, con ogni parte del corpo dolorante ma con il sorriso.
Poi c’è stato l’oratorio coi ragazzi; tra tutto era la cosa che mi spaventava di più, invece c’è stato un climax sorprendente, soprattutto con le bimbe: dagli sguardi timidi coi i volti nascosti dalle mante e i nomi sussurrati, agli abbracci che ogni giorno diventavano più stretti.
Non sono riuscita a non fare un confronto tra quei ragazzi e i nostri a Milano, a non ammirare il loro modo genuino di essere, il loro modo semplice di divertirsi, il loro modo sincero di ridere anche per le cose più banali. È stato bello scoprirli così coinvolti nelle attività di giocoleria, bandiere e tamburi che gli abbiamo proposto e vedere l’entusiasmo con cui si sono lanciati nello spettacolo in piazza che abbiamo fatto insieme l’ultimo giorno.
E infine ci sono stati i poveri. Sono stati la parte più tosta, credevo di essere pronta ma incontrarli è stato un pugno nello stomaco. Posso raccontarvi la povertà in tutte le salse, ma non è nulla in confronto a vederla, a toccarla con mano.
Cosa mi sono portata a casa da questa esperienza? Mi sono portata a casa emozioni fortissime, sia belle che brutte. Mi sono portata a casa tante paure: la paura di non riuscire a raccontare, di non essere capita, la paura di dimenticare, la paura di fare le scelte sbagliate, di buttare via il tempo, di sprecare la mia vita. Ma mi sono portata a casa anche occhi nuovi, in grado di guardare meglio, più lontano; occhi capaci di vedere la povertà anche qui, tra le strade della nostra città. Mi sono portata il desiderio di potermi accontentare e di non lamentarmi se viene a mancare una comodità, mi sono portata a casa la speranza di poterci tornare un giorno.
Chiara