Racaciuni, luglio 2017
Quest’estate ho avuto modo di vivere un’esperienza splendida con BIR (Bambini in Romania), un’associazione aconfessionale che ormai da quasi 20 anni organizza partenze estive e invernali con destinazione in varie località della Romania e della Repubblica Moldova. I diversi campi hanno luogo in realtà come orfanotrofi, centri diurni, case famiglia a carico dello Stato, che però accoglie i gruppi di volontari italiani come collaboratori in uno scambio culturale a volte semplice, a volte no.
La mia destinazione è stata Racaciuni, un paese un po’ sperduto a est della Romania, con cui per la prima volta quest’anno BIR ha intrapreso una collaborazione. Io e il mio gruppo (eravamo 11 in totale) vivevamo in una struttura attigua ad un istituto religioso di frati che durante l’anno ospita circa una ventina di ragazzi rumeni dai 13 ai 20 anni, per tutelarli da difficili realtà familiari e per permettere loro di andare a scuola. Ogni estate l’istituto organizza il cosiddetto “GREF”, che corrisponde all’incirca al nostro centro estivo, nei paesi più vicini e più poveri; a fare gli animatori sono proprio quei ragazzi che durante l’anno vivono in istituto, insieme ad alcuni animatori del paese e guidati dal prete locale. La nostra giornata era quindi all’incirca così: al mattino vari lavori “domestici” (ad esempio partecipare al raccolto dei campi dell’istituto), riunione organizzativa per preparare le attività, e al pomeriggio Gref con i ragazzi.
Il Gref permette a molti bambini e ragazzi che durante il resto dell’estate stanno in strada o lavorano nei campi, di tornare ad essere, per una settimana, semplici bambini o ragazzi, giocare e stare con i loro amici. Le attività lì consistevano principalmente in un momento di “riflessione” sul tema della giornata e in un momento di gioco, che era l’attività principale nonchè il momento più apprezzato. E’ stato difficile, soprattutto all’inizio, non capire e non riuscire ad esprimersi. I primi giorni sono stati i più ostici, perchè ancora percepivo quel sottile muro tra “me” e “loro”. Poi piano piano tutto si è sciolto senza bisogno di troppe parole, e mi sono sentita a casa: dai ragazzi dell’istituto con cui abbiamo condiviso le nostre storie e con cui siamo diventati amici, ai bambini al Gref che pur non sapendo nemmeno il tuo nome ti corrono incontro entusiasti, e sono felici che tu sia lì, anche se solo per quella settimana, quel giorno, quell’istante. Questo mi ha sempre colpito, ogni giorno: la loro capacità di essere felici nonostante le case in lamiera, le condizioni igieniche a volte disastrose, l’acqua del pozzo sporca, la fatica del poter contare solo sulle proprie gambe, perchè il mezzo di trasporto più veloce poteva essere un carro trainato da cavalli. La loro capacità di essere felici nonostante molto spesso essere “fortunati” significasse avere a casa anche uno solo dei propri genitori, perchè l’altro era stato costretto a partire per cercare lavoro, o significava non subire nessun tipo di violenza, o costrizione. Essere felici nonostante quella che io ho sempre chiamato “povertà”, e di cui ho imparato a rispettare gli spazi vivendo con loro.
Sono certa che mi abbiano donato e insegnato molto più di quanto io abbia lasciato loro, e molto più di quanto si possa spiegare a parole. Nel rapporto con loro mi sono scoperta a rinunciare al mio desiderio di sapere della loro vita, molto spesso anche al desiderio di aiutare o di poter intervenire perchè non ce n’era la possibilità, e di essere ricordata, e riconosciuta come una qualche figura. È stato uno stare insieme “puro”, spogliato di tutto, di ogni aspettativa o pretesa, vissuto istante per istante, e pieno dell’amore, dello scherzo, del divertimento o della stanchezza, della gioia che potevamo provare. Mi sono scoperta ad arrendermi, a rispondere ad un qualunque loro bisogno, che fosse correre, stare in silenzio, cantare o ballare, rispettare il loro spazio. E forse per molte delle altre cose che mi hanno insegnato ci vorrà tempo ancora.
Tornare dopo un’esperienza del genere, dopo la totale immersione in una cultura differente ed il mettersi a servizio in modo “incondizionato”, mi ha aiutato ad aprire un po’ di più gli occhi e il cuore su tutto quello che vivo qui quotidianamente. E credo davvero che ora starà a me riuscire a spendere e a tenere in vita tutto quello che ho ricevuto.
Gina